Battiato, Sciascia, Tomasi. Ragionando sulle cose ultime dei Maestri.
di Redazione | 21 Maggio 2021È morbo di sapere com’è finita? Come finisce la vita dei grandi? Come hanno finito? C’è un volersi sporgere sugli attimi terminali dei giganti. Forse per assistere al loro atterramento dalle altezze che respiravano; da dove creavano. O per l’eccitazione plebea di veder cadere le stelle: il loro ridiventare polvere dà insana soddisfazione a taluni; sollievo ad altri: motivano a se medesimi le proprie insufficienze al confronto con l’infinitezza. Pure se conquistata con Cose immemorabili: lettere, arti, musica. Il segno volgare dei nostri tempi.
Accade con la morte di Franco Battiato. Ma non solo. Che si vuole sapere? Tortuoso ragionare sulle cose ultime dei Maestri; sulle loro credenze e appartenenze a religioni. Come è il caso del genio che ci ha appena lasciati. Ma le cose ultime, di cui ha scritto Romano Guardini, sono invisibili, protetti dal dubbio. Di Battiato sappiamo: ci sono stati funerali religiosi, nella cappella di Villa Grazia, che aveva fatto riconsacrare per la madre; due sacerdoti amici hanno officiato il rito per gli intimi presenti; il corpo, per sua espressa volontà, è stato o sarà cremato; le spoglie ritorneranno a casa sua. Questo sappiamo. Nient’altro. Credeva in chi? In Cosa? In Uno o più? In una o diverse Vie ? Lui che si era esibito per Karol Wojtyla, in abito scuro, emozionato; in foggia severa, come sacerdote di un atto mistico, nella Sala Nervi, col suo “E ti vengo a cercare”. E che lì immerse il Papa Santo e i suoi ragazzi nell’”Oceano di silenzio”. E che è anche il Poeta che, cantando e rinnovando il suo “Torneremo ancora”, sembra indicarci le antichissime strade della trasmigrazione delle anime. Cosa cercava ? Intuite pure, ma resti il velo. Oltre l’apparere, di cui il fratello ha concesso un quid agli assetati di cose visibili: “Cominciava da giorni a perdere le facoltà. Si è arrivati a un deperimento organico per cui, pian piano, si è, come posso dire? Si è quasi asciugato. Non si è accorto del trapasso”. Accontentati?
Gli indagatori di manifesta furono attenti anche al fine vita di un altro Maestro, Leonardo Sciascia: “con il vestito nero che forse avrebbe indossato per un Nobel mai arrivato e con il crocifisso che le sorelle gli hanno infilato fra le dita”. Lui – illuminista, più di Diderot, che di Voltaire, come precisò – aveva confessato: “La religione m’è sempre apparsa come un porto sicuro, un luogo di rifugio, una spiaggia tranquilla nella quale amerei addormentarmi… “. Si è addormentato. Come desiderava. Poco prima – ci fa sapere Matteo Collura – aveva tra le mani il foglietto col suo epitaffio:”Ce ne ricorderemo di questo pianeta”. L’amico ipotizza: “quella frase che forse gli sarà servita da conforto”, l’aveva presa e conservata dallo scrittore francese Auguste de Villiers de L’Isle-Adam. Sciascia aveva commentato quella sua scelta: “così partecipo alla scommessa di Pascal”. Lui, l’uomo della Ragione, l’”illuminista” più illustre di un’Isola senza Ragione, all’ultimo fece la sua scommessa? E sulla scommessa di un tormentato pensatore cristiano? Su una vita oltre la morte? Torna sempre il mistero della fine dei Maestri.
“Parlava ancora piano, ma la mano attorno a San Pietro si stringeva; più tardi la crocetta minuscola che sormontava la cupola venne trovata spezzata. – Il sonno, caro Chevalley, il sonno è ciò che i Siciliani vogliono…”., fa dire Tomasi al suo Principe. Ora Franco dorme. Come Leonardo. Come don Fabrizio. Con le loro domande. E con i loro enigmi. Con le loro speranze. Restino, per noi che restiamo. Giusto così.