Muse inquietanti

Webullisti

di Matilda De Vita | 31 Maggio 2021

Un dubbio che tormenta, il dubbio di chi, per fortuna sono tanti, gli è rimasta integra la ragione, l’umanità, gli occhi della bellezza, la solidarietà, la pietà, la fratellanza: ma siamo sempre stati bui, ciechi, piccoli, cattivi, infelici e il web ne ha amplificato gli aspetti miseri? Oppure, questa forma di becero bullismo adulto, che tocca finanche la sacralità dell’uomo, è figlia del nostro tempo? L’aria è inquinata dall’odio, dal rancore, dall’invidia, e qui che sorge un altro quesito: è mai possibile che certa politica è riuscita ad intossicare il nostro respiro, approfittare delle nostre paure, nutrirsi del nostro disagio? Dunque l’uomo non ha capacità di giudizio? È solo appartenenza cieca senza “se” e senza “ma”? È solo la ricerca di un idolo da adorare fino a quando non lo si butta via per crearne un altro? Non esiste capacità di critica? Allora si chiama virus, inteso come un qualcosa che colpisce a prescindere dalla volontà e dalla capacità di discernimento, che va al di là della ragione. Qualcosa che per taluni diventa l’unico modo per affermare la propria esistenza in vita: “io esisto perché anche gli altri mi vedono” e poco importa se la popolarità deriva da diarree lessicali volgari e squalificanti: esisto quindi sono! Senza comprendere che tutto ciò non è “essere” ma semplicemente apparire nel peggiore dei modi, nella più insignificante veste dell’essere uomo. Uomo solo per le sembianze fisiche, ma non nel cuore e nell’anima imbruttita, nera e squallida. Chi ha la responsabilità diretta o indiretta del degrado morale e umano che spinge un frustrato oltre il limite della decenza? È responsabilità dei social? Forse sì, dovrebbero essere controllati e impedire per sempre l’uso a chi non ne fa buon uso, a chi osa trattare la vita umana come se fosse una sputacchiera: l’interdizione perpetua a chi non ha alcun rispetto per la vita e, a volte, neanche per la morte? O no? È responsabilità della politica rancorosa e avvelenata? Forse sì: la folla acclama sempre Barabba perché non ragione, non rispetta e non discerne. La folla è peggio delle bestie che corrono in branco, corrono dove va il vento e non guardano chi calpestano. Un uomo si può uccidere in tanti modi, ma il peggiore rimane la gogna pubblica, lo sputo, il disprezzo. La gogna mediatica, quella che lacera intimità e sentimenti, quella che arriva gratuitamente e con sfregio dei leoni da tastiera, i quali pensano di aver trovato la loro ragion d’essere, la loro esistenza in vita, in una fredda e anonima tastiera.
Troppo semplice chiedere scusa dopo aver avvelenato i pozzi: per purificarli occorre un lungo percorso di meditazione, gesti e fatti, certamente non l’ennesima giravolta dal sapore opportunista e calcolatore.

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