Leoluca Orlando

Non sfiduciate Orlando. Fatelo finire (male), non regalategli la “bella morte”.

di Carmelo Briguglio | 13 Giugno 2021

In politica l’errore si annida in alcuni covi mentali, la psiche lo fa passare per i cunicoli dell’impulsività e della semplificazione; per la reattività che, applicato al discorso pubblico fa sempre sbagliare. È ciò che sta capitando al centrodestra nei confronti di Leoluca Orlando. La tentazione della mozione di sfiducia è forte: troviamo i numeri e mandiamolo a casa. Attrazione fatale mossa dal desiderio di ritorsione; di gettare nella polvere l’arroganza e la sufficienza del sindaco. Che si sente il migliore, come un tempo fu, ma non è più.
Solo che dimissionarlo anzitempo sarebbe un errore. Per tanti motivi. Per due, sopra tutti. Il primo è l’integrità del mandato, chiamiamola così. Il popolo, quando elegge, dà una delega. E la lex – quindi ancora il popolo – ha stabilito in un quinquennio il tempo della prova. Al suo concludersi matura il giudizio del cittadino. Non prima. Quindi i cinque anni hanno una loro “intangibilità”. Una sacralità. Intaccando la quale, si finisce per ledere la sovranità popolare. Questo è il primo punto, che possiamo definire “etico”.
Il secondo è più politico e anche di comunicazione politica. Ci limitiamo a un giudizio su questi ultimi anni: la gente, ma anche osservatori terzi e persino molti sostenitori di Orlando, sono convinti che siano stati i peggiori della sua lunga carriera amministrativa. Sui mandati precedenti la valutazione è controversa: ci si divide. Ma su quello attuale c’è un coro assordante, maggioritario se non univoco: è stata un periodo disastroso per Palermo. Dove il simbolo sono i tanti palermitani insepolti ai Rotoli. Il finale di Luca è crepuscolare: immagine di fine ingloriosa per lui e deprimente per la città, di triste chiusa a un percorso che ha avuto – perché non concederglielo – fasi di cambiamento e picchi di speranza. Ora, l’alternativa è la seguente. Si può fargli concludere la “legislatura” naturalmente, in modo che naturale sia il responso finale dei cittadini. Si può lasciarlo macerare usque ad finem, nell’inefficienza di una gestione fallimentare; fargli sciogliere al sole la tintura della sua vecchiezza politica, come il Gustav di “Morte a Venezia”. E fargli compiere fino in fondo la sua caduta. Peraltro Orlando – questione che gli attira forti critiche, nel suo mondo e oltre – non lascia eredi con cui fare i conti. La gente vedrà e giudicherà. Con maggiore libertà. E severità; e durezza, secondo i più. Il sindaco antico della primavera perduta, rischia la damnatio memoriae: tra un anno sarà difficile persino trovare chi si dirà orlandiano. Molti negheranno di essere stati vicini a lui. Aumenterà via via il numero di quanti – diranno – non lo hanno mai votato. Come è accaduto con Rosario Crocetta. Invece, interrompere Il corso normale dell’amministrazione con la sfiducia – ammesso che si trovino i numeri – gli darebbe alibi e vie di fuga: la responsabilità cucita sugli oppositori del Consiglio che gli hanno impedito l’ attuazione – ovvio, imminente – di progetti mirabolanti; la consegna delle chiavi della città a un commissario mandato dal nemico catanese Musumeci; la sceneggiatura del martirio di se medesimo di cui è impareggiabile regista. Questo è il bivio. Scelga il centrodestra se fare morire Orlando della sua inedia. O regalargli una plateale battaglia sull’ultimo proscenio. E fargli il dono della “bella morte” degna di una estetica a lui lontanissima. Con inevitabili titoloni sui media favorevoli al sindaco. Con l’apertura di una querelle che oscurerebbe i problemi della città e le sue pesanti responsabilità. Si parlerebbe solo della sfiducia e si creerebbero due fronti, non più bipolari ma trasversali, tra i favorevoli e i contrari all’avvenuta decapitazione. Dagli sviluppi oggi imprevedibili. Inclusi ricorsi e colpi di scena. Come una “incredibile” resurrezione. Si scelga allora. Senza farsi prendere da istinti di rivalsa. Con raziocinio. E politica intelligenza.

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