Ruggero Razza

Musumeci bis. Il fatturato c’è e notevole, ma non basta. C’è bisogno di sogni, il Centrodestra è capace di fare sognare?

di Carlo Giulio Grimbè | 29 Giugno 2021

Ruggero Razza ha promesso (dice) a Musumeci che non farà più politica, ma solo amministrazione. Non è proprio felice l’affermazione dell’assessore alla Salute. Meno di quella della “spalmatura” dei dati della pandemia: lessicale e senza danni l’una, pregiudizievole politicamente l’altra. Soprattutto per il governatore e la sua coalizione. Razza cade in due ingenuità. Che potrebbero essere apparenti, ulissiche callidità, per non esporsi. Ma tant’è. La prima. Lui non è un tecnico prestato alla politica. È un politico puro. Nato e formato nella serra calda del mondo vitale di Musumeci; delle sue stagioni, da An a Diventerà Bellissima, passando per Alleanza Siciliana e per La Destra. Nel 2008 è stato persino candidato alla presidenza della Regione. Un percorso tutto politico. La seconda. Della squadra istituzionale di DB, cinque deputati, oltre allo stesso Razza, tre hanno caratteristiche più politiche (Aricò, Razza e Savarino), tre sono molto forti nel proprio territorio (Assenza, Galluzzo e Zitelli). Dei primi tre, l’assessore alla Salute in questi anni, per formazione e ruolo – la sanità è un ineguagliabile crocevia di interessi sociali, professionali, ma anche politici – si è dimostrato un abile fiduciario del presidente della Regione e un interlocutore affidabile per partiti, gruppi parlamentari, categorie della società civile. Si è visto durante il suo bimestrale lock-down politico. L’assenza è pesata. Pur senza ruoli formali, anche nel periodo per lui più nero, è stato quotidianamente cercato dai vertici dei partiti e delle forze sociali. E il suo ritorno alla guida della Salute ha avuto a che fare anche con questa rete di contatti che hanno, discretamente o palesemente, espresso al presidente il proprio gradimento a questa soluzione di continuità. Che alla fine è prevalsa sulla tesi dello scambio delle deleghe con Marco Falcone, che pure era stata presa in considerazione dal governatore. Quindi, è stata una rentrée politica. Peraltro di un cucitore ha bisogno il centrodestra, se vuole vincere. Razza ha numeri e relazioni con gli alleati e gli ambienti sociali per assolvere questa funzione di ritessere la tela che dovrà portare all’organizzazione delle liste e alla comunicazione unitaria dell’alleanza. Che deve ridarsi una immagine più salda e coesa, a partire dalle prossime Amministrative, dove spicca l’elezione del nuovo sindaco di Palermo. Un passaggio tutt’altro che ordinario. E gettare ponti anche verso chi del centrodestra non si sente appartenere, ma che con Nello ci starebbe. È una tessitura che Musumeci – riservandosi l’ultima parola – ha delegato nel quotidiano, perché ormai “on the road”, in giro elettorale permanente per tutta la Sicilia – in mezzo alla gente, attività che gli piace più di ogni altra cosa – e nel completamento certosino del programma di governo di questa prima legislatura. Dal quale fa dipendere il successo per arrivare al doppio mandato. E qui viene la seconda questione. Certo, il rendiconto periodico dell’attività di governo è un atto imprescindibile, sacrale nei confronti dei cittadini. È una norma etica, ancor prima che scritta, di rispetto per gli elettori. Farlo è un dovere elementare verso chi ti ha accordato il proprio consenso. Forse andrebbe considerato di più da parte del cittadino. Che andrebbe abituato a questo esame in itinere di chi lo governa e del suo operato. Ad ogni livello. E bisogna dire che se il “fatturato” c’è, come in questo caso, gridarlo dai tetti è un diritto, oltre che un obbligo morale, di chi guida una grande Regione. È anche apprezzabile questa volontà quasi maniacale del governatore di seguire di persona, il procedere di progetti e cantieri di cui ha riempito la Sicilia. È un suo chiodo fisso, da capomastro più che da capo del governo: dare una spinta in alto ad appalti e lavori, rimuovendo di persona remore e tempi morti di cui larghe aree della la burocrazia siciliana – come quella nazionale – è ancora malata. Per quasi quattro anni lo slogan che ha ripetuto a direttori, dirigenti, tecnici è stato “dobbiamo correre”. Probabilmente i fatti gli daranno ragione: non c’è città o paese dove non ci sia già o di prossima esecuzione un intervento, un’opera pubblica. E si tratta di “cose” che si notano, dopo anni di immobilismo della “stagione Crocetta” e il periodo di rallentamento dovuto alla pandemia. Ma è sufficiente questa visione prettamente cantierale a fare tornare a vincere Musumeci ? A prescindere dal numero e dalla qualità dei competitori, il governatore che si ricandida e la coalizione che lo sostiene, dovranno inventarsi anche altro. Innanzitutto, fare percepire la differenza tra il prima e il dopo, quanto profondo sia il fossato tra il “non fatto” da Crocetta e dalla sinistra al governo della Regione e il “fatto” da Musumeci e dalla sua giunta, specie da alcuni assessori con deleghe frontali; fare toccare con mano il pericolo di un salto all’indietro, in caso di vittoria dei progressisti. Il Rapporto al Popolo su tre anni di amministrazione come la kermesse di sabato scorso allo Spasimo, ha una utilità se centra questo obiettivo, sennò si riduce a passerella. Ogni bilancio fatto dalla classe dirigente e dello stesso Musumeci dovrà diventare parola diffusa, linguaggio pop del centrodestra isolano, rilanciato dalla sua base. Sarà così? Si vedrà. Manca infine alla coalizione un sogno da proporre. La Mobilità, il Lavoro, la Cultura, lo Statuto. Questi e qualche altro i possibili Luoghi del guardare lontano e pensare in grande. Qui la coalizione dovrà ideare qualcosa. Di futuro. Per ottenere e fare ottenere a Musumeci – che si conferma ancora primo nei sondaggi – la prosecuzione del cammino iniziato nel 2017, occorre una visione; ci vogliono sogni per ridare energia ed entusiasmo ai siciliani, dopo la fase del ripiegamento causato dal Covid-19. Ma per fare sognare, bisogna sapere sognare. Il centrodestra siciliano è ancora capace di sognare?

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