I complici riciclati di Crocetta e l’errore iniziale di Musumeci
di Carmelo Briguglio | 20 Giugno 2021In Sicilia, più che altrove ricordare è dovere civico, l’oblìo il nemico numero uno. Per questo, Rosario Crocetta e i suoi anni di governo – cattivo – dovranno tornare centrali nella prossima campagna elettorale. È un obbligo morale farlo rientrare nel discorso pubblico. E nella comunicazione. Non per ritorsione, per nessun motivo ad personam. E nemmeno per consumare basse e tardive vendette, ci mancherebbe. Ma per tre questioni molto politiche. La prima è la seguente. Questa idea secondo la quale quando vinci le elezioni, ciò che hai trovato va rapidamente archiviato, è un errore politico. Dopo le Regionali, quattro anni fa, questo è accaduto: delle eredità lasciate dal governo a guida Pd, poco si è detto; nulla di dettagliato. Solo brevi cenni sull’universo degli sfasci trovati. Enormi. Qualche battuta efficace come quella sulla Protezione civile – “trovai solo un foglio di carta intestata”, ama dire il governatore in carica – ma nulla di più. Su temi scottanti come sanità, rifiuti, fondi comunitari inutilizzati, per fare solo qualche esempio, si è preferito glissare o procedere con la lingua dei segni. O, al massimo, affidarsi al lessico reticente della nostra impareggiabile lingua madre: “non mì facìti parràri, lassàmu pèddiri”. Un errore grave. Quando vai al governo, eletto dal popolo e trovi solo macerie, una “due diligence” politica e amministrativa devi farla. Vera. Dura. Senza sconti. Invece, non c’è stata. La gente sa, certo. Sa delle rovine ricevute da Crocetta. E dal centrosinistra isolano. Sa meno che furono corresponsabili ceti intellettuali, media, imprenditori e “lobbies”. I complici. Il caso Montante è l’emblema di quel mondo intorno a Crocetta. La punta visibile di un blocco sociale potente e radicato. Con interessi indicibili. E con la mafia infiltrata nella Regione. Fortissima. Il popolo sa, ma gli sfugge il “quantum”; non ne conosce estensione, profondità, effetti. Perché si è preferito fare passare un grande colpo di spugna. Con la conseguenza che gli ex – e tutti i loro “clientes” – hanno potuto cancellare le tracce di se stessi e delle proprie cattive opere; ripulire il web di fotogallery compromettenti; scaricare le proprie pesanti responsabilità; mimetizzarsi nei nuovi gabinetti assessoriali; fin negli uffici di diretta collaborazione a Palazzo d’Orleans. Certo, professando fedeltà eterna ai nuovi arrivati. A partire da buona metà dei dirigenti generali. E di altri funzionari imperituri, che hanno tirato fuori foto e distintivi dei padri e dei nonni con la fiamma, in orbace o in divisa da balilla. Una maxi-azione di oblìo nei palazzi e nella società siciliana, favorita da signorilità in eccesso e voglia di mettersi al lavoro dei vincitori. Cioè di Nello Musumeci e dei suoi. Tipica condotta, per carità, di chi ha l’ansia di guardare avanti. Giusta. Ma così facendo – come è stile in quel singolare mondo sentimentale a cui fieramente appartiene il presidente della Regione, dove è sacro onorare i vinti – Musumeci, consapevole o meno, nel 2017 firmò un’amnistia della memoria nei confronti di responsabilità e responsabili, di errori ed erranti. Una tabula rasa che non ha fatto cogliere la dimensione del disastro ereditato. A partire dai bilanci della Regione – oggi messi in croce dai giudici contabili – alla cui funzione politica nell’era Crocetta, si succedettero ben quattro assessori con la delega all’Economia. Quattro. Il che dice tutto. La questione politica che ne deriva – la seconda – è che, adesso, è più difficile mostrare le lontananze da ciò che hai trovato e ciò che hai fatto. E, come spesso accade, i nemici “risparmiati” invece di andare a nascondersi, alzano la voce; e il ditino col quale accusano l’esecutivo attuale di “mala gestio” i cui diritti d’autore spettano a loro: ex assessori portatori di sciagure, a Salute e Turismo in testa; ex (e poi non più ex) dirigenti generali incapaci; la compagnia dei giornalisti che fecero i coristi
> del peggio. Un paradosso. È chiaro: in cinque anni puoi accorciare le distanze tra il negativo e il positivo, ma non puoi colmarle del tutto. Puoi fare passi da gigante, ma non azzerare i fallimenti. Dopo i quali – è incredibile – sopravvivono i colpevoli quelli che riabilitano se stessi con la forza dell’amnesia pubblica. Non solo: ora riciclati come oppositori, dai loro banchi additano traguardi non ancora tagliati che loro, proprio loro, hanno reso non raggiungibili in una sola legislatura; loro, gli autori delle devastazioni lasciate dal “ciclone Saro”. Tutti, attenzione, non il capo e basta. E andiamo al terzo punto. Lavorare. Recuperare. In dignità e risultati non immaginabili, visibili. È ciò che il governo Musumeci ha fatto. Ciò che il presidente fa, senza risparmiarsi. Con limiti e sbagli, s’intende. E che deve continuare a fare. Fino al giorno del giudizio del popolo. Dalle risorse europee finalmente impiegate, ai tantissimi cantieri, ai nuovi ospedali, al precariato sistemato. Ai poteri mafiosi messi alla porta. Ma in parallelo – non è tardi, non lo è mai in politica – è dovere suo e della sua coalizione fare un rendiconto di ciò che non venne mai fatto e si sta facendo. Gridarlo. Ma con numeri, raffronti, fatti, atti. Chiamando le cose con nomi e cognomi. Un’operazione-verità tardiva, ma indispensabile. Per fare arrivare le menti e i cuori dei cittadini al tanto che si fa, bisogna fare pubblica e comune memoria. Ragionare all’aperto e con parole semplici per fare capire bene il prima e il dopo. Ciò che li separa, quanto grande è il distacco. E quanti gradini ancora bisogna risalire dal precipizio in cui eravamo stati gettati. È l’unica via che può fare gustare il nuovo che giorno dopo giorno si conquista.
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