L’infettivologo Mondello: “Il mio protocollo per curare i malati Covid funziona. Vaccinarsi è fondamentale. Ok monoclonali. Ora linea Maginot di medicina del territorio”.
di Redazione | 8 Agosto 2021D. Lorenzo Mondello, infettivologo e parassitologo, lei è stato fin dall’inizio uno dei pochissimi a contestare la disposizione venuta dal ministero della Salute della “vigile attesa e paracetamolo” (leggasi Tachipirina) e ha messo in campo un “suo” protocollo di cure domiciliari nei confronti di malati Covid-19. Ci spiega in dettaglio e più esattamente di cosa si tratta?
R. Più che di una contestazione si è trattato di adottare un modello terapeutico che fosse fedele e rispettoso della medicina infettivologica tradizionale, in tema di malattie virali acute. L’utilizzo precoce di bassi dosaggi di cortisone ha un’azione immunomodulatrice sulla risposta dell’ospite al virus, e mai immunosoppressiva come molti lasciano intendere e (ahimè) temono. La famigerata “vigile attesa” che consente al virus di arrivare a provocare il danno infiammatorio polmonare, per poi “consentire” l’utilizzo successivo (e purtroppo spesso tardivo) dell’azione antinfiammatoria del cortisone, è un ulteriore errore strategico nell’approccio terapeutico corretto. Poi un particolare non di poco conto: il Betametasone utilizzato nel (mio) “Protocollo M” è lo steroide che richiede la più bassa dose equivalente per ottenere gli stessi risultati che si raggiungono con più alti dosaggi di altri cortisonici. Quindi, un ulteriore vantaggio in termini di riduzione degli effetti collaterali.
D. Quali sono i risultati di queste cure? Ci sono suoi colleghi che stanno operando col suo stesso protocollo?
R. I risultati ottenuti con l’utilizzo precoce del Protocollo sono stati finora brillanti, con azzeramento della mortalità legata direttamente all’azione del Covid. Questa cura, dopo l’iniziale sorpresa, anche tra “gli addetti ai lavori in cantiere”, il giustificato scetticismo, a fronte di una comunicazione ufficiale che non ha mai parlato di curabilità e di cure, ha fatto il giro del mondo col passaparola della condivisione sui social ed è stata adottata da molti medici del territorio. È chiaro che la Sicilia, e, in particolare, la provincia di Messina, ha beneficiato, per le origini del suo “padre professionale” – lo dico con umiltà ma pure con orgoglio – più che ogni altro luogo. Il fatto che Messina abbia avuto l’indice di letalità più basso della Sicilia, è motivo di gratificazione non solo per il sottoscritto, ma per quanti si sono prodigati, medici e non, per la divulgazione di questa cura.
D. Ha dei dati sui risultati ottenuti?
R. Personalmente, ho seguito finora 1500 pazienti, non tutti arruolati precocemente, perché in alcuni casi indirizzati a me solo dopo la “vigile attesa”. Di tutti questi, soltanto una trentina ha dovuto fare ricorso alle cure ospedaliere, con un solo decesso dovuto a complicanze toraciche non legate al Covid.
D. Si parla adesso di cure con anticorpi monoclonali. Cosa ne pensa?
R. Gli anticorpi monoclonali rappresentano le “cure precoci ospedaliere”, fondamentali, perché integrano le cure domiciliari e completano il ciclo terapeutico contro la malattia da Sars-Cov2. Vanno praticate nelle fasi iniziali della malattia, dopo incompleta risposta alle cure domiciliari, quando il virus (antigene) è ancora presente nel sangue. L’anticorpo monoclonale iniettato si lega all’antigene in modo specifico e indissolubile, neutralizzandolo in pochi minuti. Io credo molto in questa terapia, ma spero che decolli veramente andando finalmente a regime anche nella nostra regione. Prima dell’autunno prossimo sarà importante creare la corretta sinergia territorio-ospedale perché i pazienti vengano inviati tempestivamente. Somministrare fuori tempo massimo gli anticorpi monoclonali può non solo rappresentare uno spreco, visti i costi economici, ma provocare un danno al paziente che già si sarà prodotti i “suoi” anticorpi naturali.
D. Lei crede nella vaccinazione?
R. Ho sempre creduto nelle vaccinazioni, pertanto, credo anche a questa contro il Covid-19, che con le due dosi basali è in grado di dare una protezione individuale importante, anche verso la variante Delta, che in caso di contagio provocherebbe una malattia attenuata. Vista la variabilità di Sars Cov2, virus a RNA, capace di produrre miriadi di varianti, pongo serie questioni etiche sulla “vaccinazione a oltranza” come misura di contenimento collettivo. Ma ci sarà modo di parlarne e approfondire in seguito. La vaccinazione con le due dosi basali rimane la misura di profilassi fondamentale alla quale nessuno deve rinunciare.
D. E nel Green pass?
R. Il Green pass, avulso da un test sierologico che attesti l’avvenuta (e perdurante) immunizzazione, è solo un lasciapassare burocratico per limitare gli assembramenti al chiuso, ma non ha compiuta valenza epidemiologica.
D. Ha dei suggerimenti da dare al governo regionale nel campo della cura delle persone che contraggono il Covid-19?
R. La Regione, seguendo l’esempio dei medici coraggiosi che “in proprio” hanno “ciclostilato” protocolli di cura, può diventare esempio da seguire in Italia, se attraverso il suo CTS desse linee di indirizzo a medici di famiglia e pediatri di libera scelta sulle terapie domiciliari precoci. Finora l’epidemia in Sicilia è stata gravata da notevole mortalità ospedaliera, nonostante le professionalità impiegate e il vaso dispiegamento di forze in campo. Ma è sul territorio, esattamente a casa del contagiato che va creato il
“filtro” essenziale per ridurre la gravità clinica dei casi e, quindi, gli accessi in ospedale. È qui la sfida che può vedere la Sicilia vincente, ma rimane solo agosto per organizzare ciò, già settembre, passato Ferragosto, busserà alle porte e sarebbe grave sentire parlare solo di creare nuovi posti letto ordinari e di terapia intensiva. Sarebbe una sconfitta dopo un anno e mezzo. La Sicilia ha potenzialità per fare meglio, organizzando una linea Maginot sul territorio. E sarà eccellenza per la lotta al Covid.
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