Teatro Val d'Agrò

I teatri in Italia chiudono, da noi riaprono: la Sicilia che cambia è anche questo.

di Carmelo Briguglio | 6 Dicembre 2021

Nel resto d’Italia i teatri chiudono, in Sicilia aprono. Queste le parole del regista Giovanni Anfuso a Nello Musumeci che ha inaugurato il Nuovo Teatro Valdagrò, la struttura diretta dalla vulcanica Cettina Sciacca a S.Teresa di Riva: un gioiellino, uno dei 137 teatri che ha beneficiato dei 30 milioni di euro stanziati dalla Regione al rifacimento dei teatri dell’Isola. Parole che dicono tutto. Ovunque, i teatri muoiono, vengono comprati e venduti: se ne fanno supermercati, appartamenti, vetrine. A Roma, dopo 110 anni, si vende il Teatro Flaiano, già Teatro Arlecchino e prima ancora Teatro dei Fanciulli; un luogo dove si sono esibiti i più grandi: Anna Magnani, Valentina Cortese, Vittorio Gassman, Franca Valeri, Bice Valori, Monica Vitti, Valeria Moriconi, Gianni Agus, Carmelo Bene, Luciano Salce, Dario Fo, Giorgio Albertazzi, Nando Gazzolo, Ottavia Piccolo, Gigi Proietti e abitualmente frequentato da intellettuali come Federico Fellini, Ennio Flaiano, Renato Guttuso, Marcello Marchesi e Vittorio Metz, volendo fare qualche nome.
Teatro Val d'Agrò
Guardate la “prosa commerciale” dell’immobiliare che ne cura la vendita: “In centro storico, nelle vicinanze di Piazza Venezia e a pochi passi dal Pantheon, abbiamo l’onore di proporre in esclusiva la vendita di un teatro storico sul cui palco si sono esibiti negli anni i più grandi attori di fama mondiale…Un investimento che va al di là dell’aspetto strettamente economico, peraltro molto conveniente…”. Una tristezza.
Teatro Val d'Agrò
Il prestigioso Teatro Valle, in cui Luigi Pirandello rappresentò un secolo fa la prima del suo “Sei personaggi in cerca d’autore”, è chiuso e lo sarà ancora per anni, dopo occupazioni e permanenti polemiche. Due soli esempi: l’elenco potrebbe allungarsi, di tantissimo.
In Sicilia, siamo in un altro mondo: i teatri sono finanziati e sostenuti per tornare alla gente, anche dopo anni – talvolta decenni – di inagibilità. Aprono o riaprono battenti. È un segno fortissimo di ritorno alla cultura, all’incontro tra persone, alla vita individuale e comunitaria? Certo, che lo è. È un lampo di luce che attraversa la notte della pandemia. Di gioia e di futuro. Ma è anche un segnale politico. Potente. Di differenza. 30 milioni di euro ai teatri, in controtendenza con ciò che accade a Roma, a Milano, “in Italia”, è un fatto storico. Perché in Sicilia e in qualunque altra regione, non è mai accaduto. Perché non è mai successo che lo facesse un governatore di centrodestra, qual è Musumeci. Perché, peraltro, lo ha deciso destinando i fondi in prima persona, quando cumulò per un anno, l’interim di assessore ai Beni Culturali e di presidente della Regione. Infine, perché è un fatto che travolge gli argini spocchiosi dei recinti della sinistra, i suoi pascoli dell’arte e della socialità di cui si erge da sempre custode unica e immeritevole. Pd e M5S (e anche i vari contras, da Stancanelli a De Luca e Sammartino, diciamola tutta) si dovranno sorbire, mese dopo mese, cantieri, inaugurazioni, feste e palloncini, dei nostri teatri che si ristrutturano e aprono. È la Sicilia che cresce, passo dopo passo. E c’è un popolo dello spettacolo – i registi, gli attori, le imprese, gli organizzatori, i tecnici, il personale, gli abbonati, il pubblico, le comunità locali e i loro governi – che osserva e giudica il “raccolto” di ciò che il Presidente, col suo governo, ha seminato: pure in cultura. In Sicilia i teatri che si rinnovano e ritornano diventano così sinonimo politico di efficienza e di lavoro. Di fiducia e cambiamento.
Teatro Val d'Agrò

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