Cateno De Luca e Nello Musumeci

Ragionare anche con chi non vuole

di Carmelo Briguglio | 28 Maggio 2021

È una vogue non più in ascesa; comincia a stancare, ma c’è. Non è il populismo delle parole, ma quello degli atti eclatanti. Una comunicazione che abbia come vettore il solo insulto, non rende più. Con la fine politica del grillismo, dei suoi simboli e dei suoi “no”, tutti capovolti in “sì”, di quella stagione restano casi periferici. Tra questi, uno fa della gestualità il quadro e della parole la cornice. È l’esotico politico, che passa per lo “scandalo” quotidiano: per la condotta atipica, a-normale, fuori dal registro tradizionale. Anche dentro le istituzioni e la loro austerità. È una mistura – elaborata, mai spontanea – del fare ridere e meravigliare. Della “maleducazione” studiata ad hoc: l’urlo c’è ma lo accompagna e lo sopravanza sempre il coupe de theatre. Una tendenza che pesca nello scontento, nel non sapere apprezzare le fatiche di chi governa con serietà e passione, senza fare il fenomeno; di chi suda, risalendo gradino dopo gradino, la liberazione quotidiana da eredità pesanti; di chi lavora, giorno e notte, per trovare soluzioni, prendere decisioni, tra successi, dubbi e inevitabili errori: tragitto accidentato, ma il solo che porta frutti. Al governare ragionato si contrappone la “sconcezza” artificiale. Che nuota nella sfiducia nel presente e nel futuro, li incatena a un passato che non passa; è la propaganda del “nulla può cambiare” con gradualità. È l’alzata d’ingegno, la trovata. Che, come la storia politica insegna, non risolve. Mai. L’idealtipo di questa corrente di pensiero e azione, è il sindaco di Messina, Cateno De Luca. L’uomo del denudamento di sé medesimo, del costume folclorico e del tamburello, della pernacchia, della posa sul cassonetto. E di altre produzioni “sconcertanti”. Di fronte alle quali non bisogna cadere nell’errore di stracciarsi le vesti. Di fissarsi sui comportamenti “irregolari”, politicamente “scorretti”. Additare con seriosità borghese o codina, questi stupefacenti atti, è sbagliato. In una democrazia matura ognuno fa ciò che vuole. Anche in violazione del comune senso del pudore politico. Purché nel rispetto delle leggi, s’intende. In fondo, queste “sguaiataggini” sono segni del tempo che viviamo. Perché adontarsi? Bisogna accettarli. Ognuno comunica come gli pare. Il rigore va riservato non al quomodo, ma ai risultati di chi fa politica e amministra così. Di essi va chiesto il conto. Non di altro. E spetta al popolo – accompagnato dal Tempo che da sempre fa il suo lavoro di disvelare la realtà – discernere se i risultati ci sono. O piuttosto si è in presenza di siderali distanze tra il detto prima e il fatto – soprattutto il non fatto – dopo. Sappiamo che i miracoli nel governo di uomini e cose, non arrivano mai; presto o tardi, tanti – prima utenti entusiasti di spettacoli gratuiti e “numeri” equestri – scoprono il gioco. Se gioco c’è. Nel rispetto della persona – sempre, anche quand’anche sareste tentati di tralasciarlo – l’obiettivo va quindi stretto sui fatti concreti; sul fatturato dopo tanto gridare, agitarsi, esibirsi, mimare, fingere, rotear di mani e piedi. C’è o no? Questo va stabilito. Null’altro. Serve ragionare. Anche con l’interessato, se possibile, sui risultati: sono portentosi, come annunciano le declamazioni da mille e una notte? O sono immaginari, molto al di sotto dei proclami? Ci sono o non ci sono? Questo il punto su cui riflettere e dibattere. Per ciò bisogna armarsi di pazienza, di capacità di analisi. E di dialogo. A chi ha scelto la strada della polemica permanente, si deve chiedere se scagliarsi contro questo o quel nemico designato, porti acqua al mulino della cosa pubblica. O piuttosto, non siano le disponibilità attive dei governi mitragliati, le collaborazioni giunte dalle istituzioni banniàte, a fare arrivare occasioni di sviluppo in una comunità? È più utile sparare a zero su tutto e tutti o cooperare con “gli altri” in nome del bene comune? Leggi ad hoc, risorse finanziarie, cantieri, lavori, si conquistano con l’estremismo verbale e gestuale o col dialogo tra amministrazioni pubbliche e tra chi le guida? La recente iniziativa del governo Draghi, grazie al ministro Carfagna – 100 milioni di euro stanziati – per eliminare la baraccopoli a Messina, quale percorso indica? E i tanti interventi per la Città dello Stretto che impegnano in prima persona il Presidente Musumeci? Dalla sistemazione dei torrenti, al restauro della Badiazza, alla riqualificazione della Zona Falcata e, su tutti, i 30 milioni della Regione per la trasformazione del vecchio Ospedale “Regina Margherita” in Cittadella della Cultura – la progettazione è aggiudicata in questi giorni – non segnalano la necessità dell’intesa leale tra “eletti”, piuttosto degli attacchi a testa bassa? Queste le interrogazioni alte che bisogna mettere in campo. A costo di prendersi un po’ di improperi e qualche sputo, di cui poco ci frega. Ma mantenere il filo del ragionamento, anche con chi – o su chi – ragionare oggi non vuole, è l’unica strada per non uscire fuori strada. Perché la via maestra è sempre la discussione. La ragione. L’intelligenza. Che deve guidare la Politica. E chi la fa. Chi la osserva e chi la giudica.

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