Claudio Fava

Fava tenta la fuga, Pd E M5S gli tagliano le gambe. Così.

di Lidia Anastasi | 9 Giugno 2021

“L’idea di far melina a centrocampo nascondendo la palla, convinti che gli avversari restino a guardare allocchiti. Poi, quando ricominceremo a giocare, quelli ci avranno rifilato già dieci gol”: Claudio Fava non ci sta ai tempi degli altri ed esce allo scoperto; si candida, senza aspettare niente e nessuno, a fare lui l’anti-Musumeci. E così, a Pd e M5S – da dove gli sparano addosso per questa fuga in avanti – ribatte evocando lo scenario infausto, di “un’altra onorevole e mesta sconfitta”. Vede una sola via per vincere: fare presto e associare i centristi allo schieramento che si contrappone al governatore in carica. È singolare, ma la caccia ai democristiani e affini la apre lui. Non come un tempo, da campione dell’antimafia, per scoprire lì in mezzo del marcio e magari impiantarci su un teorema politico. Ma perché, “ci dovranno essere anche quelli che sbrigativamente qualcuno etichetta come ‘centristi’, come se fosse una riserva indiana dalla quale pescare a convenienza”, spiega sorprendentemente. Lui, il duro e puro della sinistra siciliana, l’uomo che nel 2017 associò la sua candidatura ai Cento Passi di Peppino Impastato, vuole adesso a tutti i costi i moderati, pena la débâcle. Un tempo dire che il presidente dell’Antimafia è a caccia di democristiani, significava ben altro. Ma i tempi cambiano. Oggi la rivoluzione di Fava passa per il ceto politico che gli è più lontano; per cultura e per visione della società siciliana. E persino per analisi dello stesso fenomeno mafioso. “Non è certo lui la persona più adatta a dialogare con i centristi, piuttosto andasse a recuperarsi i pezzi di sinistra che dal 2017 ad oggi ha perso per strada”, ironizzano nel Pd. Come dire, pesa il suo passato-presente giustizialista e da professionista dell’antimafia, a cui si aggiunge un’allusione velenosa ai soggetti che lo sostennero quattro anni fa e che ora fiancheggiano il governo Musumeci. Il pezzo più pregiato perduto – ricordano i suoi nemici – è Renato Costa, medico, passato comunista e da leader della Cgil, assessore alla sanità designato da Fava alle scorse regionali. Ieri. Oggi Costa è il commissario per l’emergenza Covid, uno dei più stretti collaboratori di Musumeci e Razza nella campagna vaccinale. Forte del suo back-ground e dei buoni risultati ottenuti, si è anche speso nella difesa di Razza e per il suo rientro all’assessorato alla Salute: ha lavorato discretamente anche al documento dei sindacati con cui si chiedeva a Musumeci il ritorno dell’ex assessore. Come se non bastasse, per bloccare Fava, tra democratici e grillini rilanciano sotto traccia anche la storia delle polemiche per la vicenda dell’attentato a Giuseppe Antoci, ex presidente del Parco dei Nebrodi: Fava è accusato di avere alimentato un clima di dubbi e di prese di distanza in ordine all’attentato, al punto che Antoci ne ha chiesto a suo tempo le dimissioni, subito ricambiato dall’interessato che lo ha definito “una persona ossessionata e infelice”. La querelle, che coinvolse i membri grillini e dem nell’Antimafia nazionale schierati pro Antoci, viene ora agitata per dimostrare che Fava è inadeguato a essere il candidato unitario contro Musumeci. Polemiche a parte, in verità la tesi di Fava sui centristi, giusta in teoria, allo stato sembra una mission impossible.
I centristi più accreditati la scelta l’hanno fatta da tempo. Turano, Cordaro, Lagalla – quest’ultimo addirittura in pole come candidato del centrodestra a sindaco di Palermo – sono nell’esecutivo con deleghe importanti. Per non parlare di Raffaele Lombardo ormai federato con la Lega e rappresentato da Antonio Scavone. Saranno tutti al governo persino il giorno delle elezioni: come pensa Fava di fargli cambiare bandiera? E con quali argomenti, dopo cinque anni di opposizione spietata fatta al governo di cui fanno parte e a loro personalmente ? “Vuoi vedere che, alla fine, ci proporrà di prenderci a bordo Totò Cuffaro?”: è la battuta abrasiva che viene fatta circolare a Palazzo dei Normanni; non più di una battuta, ma dà l’idea del sentiment che viene alimentato per uccidere in culla i sogni del presidente dell’Antimafia.

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