Miccichè e Musumeci all'Ars

Miccichè vuole entrare nella (piccola) storia e punta ancora su Musumeci

di Carlo Giulio Grimbè | 20 Maggio 2021

Gianfranco Miccichè vuole entrare nella storia del Parlamento siciliano. Per quanto minimi, l’Ars ha i suoi annales, alcuni da ricordare, altri da dimenticare, s’intende. Piccola, ma pur sempre di storia si tratta: siamo la più grande regione italiana a statuto speciale e l’isola maggiore del Mediterraneo. Ecco perché l’attuale titolare dello scranno più alto di Palazzo dei Normanni, mira al terzo mandato, mai raggiunto dai suoi predecessori. Alla fine di questo, Miccichè avrà già eguagliato due presidenti memorabili, che hanno segnato la vita della Regione: Rosario Lanza (1963-1967 e 1967-1971) e Salvatore Lauricella (1981-1986 e 1986-1991). Ma lui vuole andare oltre e, nel 2022, tornare a occupare la stessa poltrona di oggi, su cui già sedette dal 2006 al 2008. C’è una questione politica di mezzo: Miccichè non riesce ad immaginare il ruolo istituzionale disgiunto da quello politico di leader di Forza Italia. Sa che per garantirsi il ritorno, ha bisogno del bastone del comando con cui tenere a bada il coacervo di anime che oggi la agita. Ma è un cumulo contestato all’interno del partito di Berlusconi. Il quale, di recente, gli ha chiesto di lasciare la guida degli azzurri siciliani. La sua risposta è stata un “no” a muso duro, accompagnata dalla minaccia di una clamorosa uscita dal partito. Clamorosa fino a un certo punto. Non sarebbe la prima volta. Gianfranco lasciò l’ex datore di lavoro già nel 2012, quando fondò un altro movimento politico, Grande Sud, la cui proiezione concreta fu la candidatura di Miccichè alla presidenza della Regione: un’avventura dagli esiti disastrosi che, spaccando il centrodestra, impedì l’elezione di Musumeci e spianò la strada alla vittoria di Crocetta. Memore di quella défaillance, Miccichè ha posto fine al balletto con ambienti renziani e sigillato le orecchie al canto delle sirene contrarie al governatore. Per qualche tempo, al capo di Forza Italia, il gioco è piaciuto: ha partecipato ai salottini trasversali di nemici giurati, di ex amici che lo sono diventati e di qualche alleato col vizietto, che sotto il vulcano, passano il tempo a spettegolare e tramare contro l’attuale capo del governo regionale. Poi, ha capito definitivamente – per quanto definitiva nella mens miccicheana possa essere qualunque idea – che la via più sicura per avere ciò che vuole è scommettere ancora su Musumeci. Il quale – come sa bene – è nel cuore di Berlusconi e gode del sostegno degli assessori azzurri di peso, come Falcone e Armao, oltre che del capogruppo super-votato Tommaso Calderone. Così, ha stretto la mano a Musumeci – ormai in piena campagna elettorale per il bis a Palazzo d’Orleans – raggiungendo la pax interna a FI. In fondo, l’alleanza tra Nello, presidente del popolo che soffre il Palazzo, e Gianfranco, presidente del Palazzo non amatissimo dal popolo, conviene ad entrambi. E soprattutto, con i suoi limiti, rappresenta il “centro di gravità permanente” – per usare una categoria del Maestro che ci ha appena lasciati – del centrodestra siciliano. Il quale sa che solo unito può vincere, anche l’anno prossimo, la sfida con l’inedita accoppiata M5S-Pd.

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